un cane
non si acquista,
si adotta,
ed è per sempre!!
il cane è il miglior
amico dell'uomo ma l'uomo, è il miglior
amico del cane?

EDUCAZIONE

autoeducazione
una buona ragione
proposta BASE
seduto
comando NO
basta
il gioco
il collare
il guinzaglio
senza guinzaglio
condotta
seduto fermo
fermo in movimento
la museruola
terra
terra fermo
controllo
il cane chiede
lascia
ostacoli
angoli ciechi
vieni
vieni al piede
vieni torna
la pallina (riporto)
in auto con il cucciolo
in auto con l'adulto
pratica dell'allegria
dai la zampa
aspetta
a cuccia


SORDITA'

preparazione
seduto
seduto fermo
terra
terra fermo


DISABILITA'

considerazioni
come fare
attività fisiologiche
il pasto
in auto - passeggio
cura delle zampe


CORREZIONI
BRUTTI VIZI
COMPORTAMENTO

evasioni
bocconi sospetti
botti di capodanno
nascita di un bambino
atteggiamenti
ulula
razze carattere
l'arrivo degli ospiti
l'ospite sgradito
rincorre
incontri con cani
convivenza tra cani
diffidenza
aggressività
aggressioni
attacchi a bambini
pacificazione
falsa gravidanza
sterilizzazione


FOBIE-STRESS

stress
fobia?
campanello di casa
noia
separazione
paura di rumori forti
paura dell'auto
paura del traffico
paura dei tuoni
paura dell'ospite
paura estranei 1
paura estranei 2

 

 

 

ANEDDOTI


CURIOSITA'

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MALATTIE
il ritorno di birillo
i cani possono imparare ...l'educazione secondo Nergio
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BIRILLO

io caro amico dell’uomo,
con pazienza attendi,
il mio rientro,
recriminando tu mai.
In te trovai il conforto,
negatomi dai miei simili.

Quando Birillo morì, mia figlia Sara, di otto anni, entrò in crisi. Lui aveva sette anni, quindi erano cresciuti assieme. Non è facile per un padre crescere una bambina senza la madre, e la presenza di Birillo mi aiutò moltissimo. Aveva una tremenda malattia del sistema immunitario. Avrebbe sofferto pene atroci, perciò lo feci addormentare, senza che la mia bambina ne fosse mai al corrente. Birillo era un meticcio, diciamo una specie di Pastore Tedesco, solo più piccolo, ma lo possiamo chiamare Pastore Tedesco proprio a grandi linee, tanto per farci un’idea.
Mia figlia, quindi, si chiuse in se stessa. Non parlava mai, non mangiava quasi nulla, non voleva più uscire di casa e passava le giornate guardando vecchie foto del cane. In una di queste c’era Birillo che, con un parrucchino in testa e un paio di occhiali da sole appoggiati sul suo lungo muso, posava accanto a mia figlia mascherata da fata turchina. Vedendo questa foto, mi si lacerò l’animo.
“Non abbia paura, le passerà. Tutti i bambini ai quali muore il loro amichetto a quattro zampe si comportano così, ma nel giro di qualche settimana tutto passa, si fidi. Le compri magari un altro cane; ecco, questa sarebbe una bella idea!”.

Questa era la sentenza del neuropsichiatra infantile da me interpellato, che più che uno psichiatra, sembrava il tenente Kojak in una casa di riposo. Le passerà. Nel frattempo, non le passava affatto. Di prendere poi un altro cane non ne voleva nemmeno sentir parlare: “Voglio Birillo, non un altro, ma Birillo voglio”. Mia figlia era depressa, ma io non stavo certo meglio. Guardarla in quello stato, mi riempiva di malinconia e di senso di colpa. Cosa stavo facendo per aiutarla? Niente, non riuscivo a fare nulla. Tentavo di farla mangiare un po’ di più, ma lei rovesciava il piatto per terra e scappava in camera sua.
La casa, senza Birillo, sembrava esageratamente enorme. Inutile. Vivevamo in una villetta in campagna, una costruzione su due livelli, con un balcone e un ampio giardino. Quanto correva il cane per quel giardino! Mi domandavo se stessi compiendo il mio dovere di padre fino in fondo. Sarei dovuto essere forte per mia figlia, ma non lo ero. Sara era quasi anoressica, non frequentava più nessuno e io non riuscivo a fare nulla per aiutarla. Dovevo forse farle prendere dei farmaci? Se Veronica fosse stata ancora viva, le cose sarebbero andate diversamente, lo sento. Ma Veronica non aveva in pratica neanche conosciuto Sara. Morì due giorni dopo il parto. Due valvole cardiache non le funzionavano correttamente. I medici le avevano detto che era da pazzi portare avanti una gravidanza in quello stato. Ora era tutto sulle mie spalle.
Quando raggiungemmo il fondo, scendemmo ancora più in basso: mia figlia, iniziò a parlare da sola. Un giorno, trovandomi vicino la sua camera, la sentii bisbigliare qualcosa. Aprii appena la porta e la osservai mentre diceva qualcosa al muro. Non ebbi il coraggio di domandarle nulla, richiusi la porta e me ne andai in cucina.
Perfetto, ora parlava anche da sola! Fosse stato solamente il parlar da soli passi pure, i bambini a volte lo fanno, ma seguirono altri eventi che mi fecero venir voglia di sotterrarmi. Sara, giocava a palla. Che c’era di strano? C’era di bizzarro che non si limitava a tirare la palla in aria per poi riprenderla come fanno tutti i bambini della sua età, no, lei la tirava in fondo al giardino, e poi aspettava che qualcuno gliela riportasse. Qualcuno? Ma la palla ovviamente non le veniva mai riportata, così lei diveniva tutta rossa e sbottava urlando: “Uffa! Ma perché non la riporti?!”. A volte poi correva per il giardino ridendo, come se stesse scappando da qualcuno. Si nascondeva magari dietro un albero, per poi poco dopo uscir fuori di scatto e ricominciare la sua corsa solitaria. Che voleva dire tutto ciò? fingeva forse che Birillo fosse ancora assieme a lei?
Allora mi feci coraggio e andai da mia figlia: “Sara, mi dici con chi parli e giochi tutto il giorno?” “Ma con Birillo no!”. E certo, potevo anche capirlo da solo, giusto?
Bisognava comunque dire che mia figlia, da quando parlava da sola, era molto migliorata. Mangiava con appetito e rideva sempre. Un giorno, mi chiese: “Papà, ma perché non compri mai da mangiare per Birillo? Lui ha tanta fame, corre tutto il giorno”. E così, comprai da mangiare per Birillo! Solo che lui non mangiava mai e io, la sera tardi, buttavo tutto il contenuto della ciotola nella spazzatura. Una volta ero esasperato al punto tale che mentre mia figlia lo stava ‘accarezzando’, mi avvicinai ed esclamai: “Fammi un po’ toccare questo cane!”. “Papà! Gli stai ficcando un dito in un occhio!”.
Scappai via come un contestatore disperso dalla polizia.


Un pomeriggio di giugno mi trovavo sul balcone intento a pulire le tegole del tetto dagli aghi di pino, l’aria era calda, afosa, le cicale si stavano svenando in un canto senza note, un canto di morte premonitrice. Ero da poco salito sulla scala, quando un Mastino Napoletano scappato da chissà dove, si introdusse nel mio giardino e puntò, non so per quale assurda ragione, al collo di mia figlia.
Non gli fu concesso di avvicinarsi a meno di dieci centimetri dal collo di Sara perché, non appena raggiunta detta distanza, venne, non è dato sapere in base a quale legge fisica, scaraventato indietro. Tentò nuovamente una seconda volta ma, non solo fu di nuovo scagliato indietro , ma questa volta, non appena fu a pancia all’aria dopo la caduta, rimase immobile, con le zampe rivolte verso l’alto. Io, da consueto imbecille pusillanime, non ebbi neanche il nerbo o la prontezza di scender giù, ma rimasi col volto sbiancato, ad osservare la scena. Il mastino giaceva sempre immobile mentre mia figlia, rimasta a pochi metri dal cane, urlava frasi a me incomprensibili. Il mastino cominciò ad emettere dei latrati strazianti. Ogni tanto il suo corpo sussultava. Dopo un po’, dal suo collo cominciò a fluire sangue. Il cane ululava in maniera tale da far capire che era allo spasimo.
Oramai dal suo collo zampillava così tanto sangue da sembrare la Fontana delle Novantanove Cannelle. Finalmente, la bestia si placò. Ora era inerte sul serio. Con le gambe all’aria, aveva un’aria quasi comica, sembrava un insetto morto stecchito. Alla fine, trovai la forza di muovermi e scesi giù quasi volando, verso mia figlia. Giunto sul luogo del delitto, in preda a un delirio di probabili spiegazioni, lo vidi. Era fermo, accanto a mia figlia, che lo stava abbracciando accucciata per terra. I suoi occhi, occhi quasi umani, penetravano i miei. Mi avvicinai. Avevo paura. Sollevai una mano e lo accarezzai sul muso. Percepii un corpo solido, reale; vivo. Riuscii a sentire il suo tartufo umido, proprio come doveva essere. Ad un tratto il cane si fece traslucido e attorno a lui si levò una luce azzurra. Si fece via via più cristallino e, prima di dissolversi del tutto, mi sorrise! Lo so, i cani non sorridono, ma lui sorrise.

Birillo era stato fatto tornare per aiutare mia figlia, e aveva trovato la forza e il coraggio di lottare e sconfiggere un cane grande il doppio di lui. Una grande prova d’amore e d’altruismo.

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Di tanto in tanto, sento ancora mia figlia parlare da sola. Ma in realtà, so che non parla da sola. So che non è pazza. Sono più che convinto che non mi crederete, penserete che io sia veramente alienato, ma io so di aver visto Birillo. Lo so perché, vedete, io… Ho sentito il suo tartufo umido!

Andrea Mucciolo


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